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Francesco Libetta

a01Notato dai primi anni ’90 dalla critica internazionale più autorevole, Francesco Libetta è a tutt’oggi l’unico artista italiano a cui abbia dedicato un video il regista Bruno Monsaingeon (celebre per i suoi documentari su Glenn Gould e Sviatoslav Richter). Tranne che per alcuni periodi trascorsi a Parigi e Milano, continua a vivere a Lecce, dove ha studiato pianoforte con Vittoria De Donno. La critica più influente usa termini impegnativi. Harold Schonberg scrisse: “maestro di ogni periodo o stile, Libetta è il migliore rappresentante del gusto moderno […] una tecnica che lascia allibiti”; Paolo Isotta sul Corriere della Sera: “un virtuosismo così miracoloso e un così delicato senso dell’eloquio melodico, da indurci alla domanda: quale altro artista della sua generazione, non solo in Italia, può essergli accostato?”; John Ardoin dichiarò che, della nuova generazione di pianisti, Francesco Libetta è “il più ispirato e creativo”.

Dopo gli studi di pianoforte (con Vittoria De Donno) e composizione (con Cosimo Colazzo, Igino Ettorre, Gino Marinuzzi e Jacques Castérède), portò a termine già nel 1990 (Galatina) il ciclo dei 53 Studi di Godowsky su Chopin (ciclo poi replicato a Milano, Firenze, Napoli, Brasilia); le registrazioni pirata di quei concerti italiani sono state oggetto di ricerche da parte dei collezionisti e articoli su PianoWereld o International Piano Quaterly. Libetta si interessò subito ad aspetti del pianismo diversi tra loro per stile musicale o per implicazioni musicologiche, come il ciclo completo delle Sonate di Beethoven (1993/4, poi registrate nel 2006), l’integrale dell’opera pianistica di Chopin in undici concerti e alcune operazioni di ricerca paragonabili ai capolavori di Godowsky, come il Till Eulenspiegel di Strauss nella versione pianistica di Risler (la cui registrazione video, dal vivo al Festival de La Roque d’Anthéron, ha avuto le massime segnalazioni da tutte le riviste francesi di critica discografica: Diapason d’Or, Choc de Le Monde de la Musique, Raccomandé par Classique).  Ha inoltre registrato l’integrale dell’opera per tastiera di Händel, oltre a numerosi lavori di Schumann, Debussy, Mozart, Liszt, Brahms, Respighi Sgambati, Stravinsky, Ravel, etc.La sua attività musicale è andata ad arricchirsi con la direzione d’orchestra (balletti: La Belle au bois dormant, Lo Schiaccianoci, Carmen con il Balletto del Sud di Fredy Franzutti; concerti sinfonici, etc.), la composizione per il teatro (l’opera teatrale Ottocento – Il Martirio di Otranto, eseguita in “prima” nel Castello Aragonese di Otranto nell’Agosto 2009, e poi replicata nell’Auditorium di Santa Cecilia alla Conciliazione in Roma nel Gennaio 2010); ha scritto alcuni concerti per pianoforte e orchestra; musiche di scena, per film, cameristiche), una variegata attività nell’organizzazione culturale (nel 2003 ha fondato l’Associazione Nireo, che ha organizzato dal 2003 al 2009 il Festival di Miami in Lecce), l’insegnamento (Musica da Camera), la direzione artistica (le commemorazioni per Arturo  Benedetti Michelangeli in Rabbi), la scrittura (ha pubblicato numerosi saggi su svariati soggetti, incluse tematiche di storia ed estetica, ricostruzioni di Madrigali rinascimentali; scritti sulla vita culturale operistica di fine Settecento, etc).

a06_0Ha eseguito in “prima” numerose opere contemporanee. Nel 1993, a distanza di pochi mesi dalla composizione, Libetta ha eseguito “L’Escalier du diable” di Gyorgy Ligeti, il quale ha  definito la esecuzione “assolutamente fantastica”. Ha registrato numerosi brani di Francesco d’Avalos, il quale gli ha dedicato tutte le proprie opere per pianoforte solo. Ha eseguito il “prima” anche “Plurimo” di Claudio Ambrosini (Venezia, Orchestra della Rai, con E. Arciuli), brano che con quella esecuzione ha vinto il Leone d’Oro della Biennale di Musica. Di Franco Oppo ha eseguito in “prima” entrambi i Concerti per pianoforte; il Primo da pianista solista (Festival di Alicante), il Secondo come direttore (solista Pietro De Maria).

La critica musicale sottolinea come Libetta persegua la qualità, tipicamente italiana, della sprezzatura (la virtù che “nasconda l’arte, e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica, e quasi senza pensarvi” – B. Castiglione); è stato perciò definito un “aristocratico poeta della tastiera con il profilo e il portamento di un principe rinascimentale” (Matthew Gurewitsch, sul New York Times);  la Repubblica parla esplicitamente di “concezione aristocratica del virtuosismo”; Francesco Maria Colombo, sul Corriere della Sera, gli riconosce “eleganza e charme […] uno smalto, uno spolvero di signorilità e di frivolezza, che credevamo perduto negli archivi dell’interpretazione pianistica”.


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